Onorevoli Colleghi! - Da più parti si evidenzia la necessità di salvaguardare e di sostenere la famiglia come nucleo centrale e vitale della nostra società. Un'esigenza che si configura allo stesso tempo anche come un obbligo doveroso del legislatore.
      È evidente che un simile obiettivo si può raggiungere solo mettendo in essere una completa tutela sociale ed insieme economica della famiglia; in particolare nei confronti di quelle, sempre più numerose, nelle quali vivono anziani spesso non autosufficienti o comunque bisognosi di sostegno e bambini di età fino a tre anni.
      L'invecchiamento della popolazione e l'aumento di famiglie sempre più ridotte nel numero dei componenti hanno reso, infatti, ancora più frequente il ricorso all'ausilio di persone esterne, siano esse babysitter o collaboratori familiari, più spesso indicati impropriamente nell'accezione comune con il termine «badanti». Un ausilio che di fatto permette alla famiglia di risolvere in maniera più semplice problematiche che altrimenti graverebbero direttamente sulle istituzioni statali e, di conseguenza, sull'intera collettività.
      I dati forniti dall'Osservatorio dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) negli ultimi cinque anni palesano questa esigenza: la crescita delle contribuzioni per le collaborazioni domestiche è cresciuta da 259.971 impiegati nel settore

 

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nel 2000 a 493.012 nel 2004, arrivando nel 2006 a oltre 700.000 addetti.
      Questi i numeri ufficiali; ma ricerche specifiche di settore, come quella commissionata dall'università «Bocconi», individuano in una cifra compresa fra 700.000 e oltre 1.000.000 il numero dei collaboratori domestici stranieri che vivono e lavorano nel nostro Paese, a cui occorre aggiungere quelli di nazionalità italiana che operano senza regolare contratto, calcolati anch'essi in circa 1.000.000 di persone.
      Se aggiungiamo a queste stime quelle di altri istituti di settore, come l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), che indicano in quasi 5 milioni il numero delle famiglie che continuativamente o saltuariamente fanno ricorso a prestazioni di aiuto in ambito domestico, appare evidente non solo la portata del fenomeno in generale, ma anche come il settore del lavoro domestico sia caratterizzato da un bacino di regolarità che sfiora solo il 20 per cento del totale, lasciando l'80 per cento sommerso.
      A motivo di questa gravissima anomalia possono essere addotti, da una parte, il pesante carico salariale e contributivo che grava sulla famiglia, e dall'altra, le pressioni effettuate dallo stesso lavoratore che spesso chiede di poter collaborare «in forma non ufficiale» per mantenere altri vantaggi derivanti dal non dichiarare questi redditi.
      Diventa quindi prerogativa primaria di uno Stato attento ai valori sociali del lavoro favorire l'emersione dell'irregolarità in questo ambito con azioni e incentivi che sollecitino i datori di lavoro domestico a sanare tale situazione e contemporaneamente contribuiscano ad aiutare la famiglia stessa nel suo compito principale di cura, sostegno e tutela dei propri membri.
      In particolare, si ritiene necessario introdurre il diritto di dedurre integralmente gli oneri sociali sostenuti, come accade nell'ambito dell'impresa per i lavoratori, al fine di creare automaticamente una maggiore convenienza da parte del datore di lavoro domestico, che vedrebbe contemperato il costo di un eventuale maggior impegno economico con una diminuzione del proprio carico d'imposta, insieme al venire meno di possibili sanzioni e vertenze per una gestione «impropria» dei collaboratori.
      Né vanno sottostimati gli evidenti vantaggi per gli stessi lavoratori, per i quali si otterrebbe una più completa tutela con l'automatica applicazione delle regole del contratto collettivo nazionale di lavoro, che ormai ha allineato i salari, anche in questo settore, a quelli delle altre attività lavorative del nostro Paese.
      Attualmente, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, è prevista la deducibilità nel limite di 1.549,37 euro (lire 3.000.000) dei contributi previdenziali e obbligatori versati per gli addetti ai servizi domestici e all'assistenza personale o familiare.
      Secondo le nuove disposizioni dell'articolo 15, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, come modificato dal comma 319 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), è prevista poi la detraibilità delle spese, per importo non superiore a 2.100 euro, sostenute per gli addetti all'assistenza personale nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, se il reddito complessivo non supera i 40.000 euro.
      La presente proposta, per garantire nel quadro legislativo italiano anche alla famiglia pari opportunità e piena dignità nel suo ruolo di datore di lavoro, introduce alcune innovazioni rispetto alla normativa vigente.
      Si propone, infatti:

          a) deducibilità piena di tutti gli oneri sociali obbligatori sostenuti per le prestazioni di lavoro domestico;

          b) l'aumento fino a 5.000 euro, con un limite di reddito innalzato a 70.000 euro, per la detraibilità delle spese sostenute dalle famiglie in cui è presente una persona non autosufficiente;

          c) l'introduzione della detraibilità fino a 4.000 euro delle spese per gli addetti

 

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alla cura dei minori fino a tre anni di età che non abbiano trovato ospitalità presso gli asili nido.

      Il riconoscimento di tali sgravi fiscali è comunque subordinato all'integrale applicazione nei confronti dei lavoratori della parte economica e normativa, nonché di quella obbligatoria prevista dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni e organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale e anche all'integrale versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali previsti dalla legislazione vigente in materia.

 

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